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I disturbi di personalità sono dei modi stabili di essere e di entrare in rapporto con il mondo. Si manifestano nell’adolescenza, quando si diventa ciò che si rimarrà per il resto dell’esistenza. Questi disturbi con alti e bassi durano tutta la vita e ci caratterizzano, così come “non può diventare rotondo ciò che è nato quadrato”. (R. Lorenzini, 2011)
Comunemente nella definizione della gente si tratta di quelle persone che hanno un “caratteraccio”, un modo di fare che può essere più o meno causa di sofferenza per sé stessi e per gli altri, ma che costituisce l’essenza stessa del modo di stare al mondo del soggetto. (R. Lorenzini, 2011) .
Tutti i disturbi di personalità sono pervasivi e stereotipati, una sorta di esagerazione caricaturale di tratti, temi e modi di fare che in misura minore sono presenti in tutti noi. Nella classificazione più utilizzata ( DSM IV – R), che è quella americana dell’ APA (American Psychiatric Association) , sono attualmente dieci, ma si tratta di un ambito in continua espansione, dove nuove etichette sorgono ed altre scompaiono. Infatti nella nuova edizione che uscirà nel maggio 2013 (DSM V) vengono inclusi solo sei specifici disturbi di personalità ( Borderline , Ossessivo-Compulsivo, Evitante, Scizotipico, Antisociale, Narcisistico e Disturbo di Personalità Tratto Specifico che prima non esisteva). C’è da dire che i confini tra un disturbo e l’altro non sono molto netti e sono frequenti casi di comorbilità; sostanzialmente è un po’ come tentare una classificazione di tutti gli esseri umani!
I tre cluster in cui si raggruppano per somiglianza i dieci disturbi di personalità nel DSM IV-R, sono anche stati messi in relazione con specifici stili di conoscenza ( Lorenzini R., Sassaroli S. 1995, “ Attaccamento, conoscenza e disturbi di personalità”, Raffaello Cortina editore, Milano).
Il cluster A comprende:
Questo cluster si organizza attorno al tema della diversità, dell’alienità e dell’intersoggettività. L’altro non conta, è incomprensibile e minaccioso, per cui è meglio farne a meno. (R. Lorenzini, 2011)
Il cluster B è l’esatto contrario di quello A, ma l’altro è solo un oggetto indispensabile per i propri scopi. I soggetti in cluster B si impegnano in relazioni intense, burrascose, drammatiche, ma senza effettiva empatia, come si fa con oggetti e strumenti. ( R. Lorenzini, 2011) Le relazioni, anche quelle terapeutiche con questi soggetti, sono disperate e disperanti. Appartengono a questo cluster i disturbi più frequenti, quelli che più spesso richiedono un trattamento (a volte anche coatto).
Infine abbiamo il cluster C , che è dominato dall’ansia. Il soggetto è pauroso, appare ora come un giudice, ora come un protettore, ora come un valutatore, ma l’altro contrariamente a quanto accade nel cluster B è riconosciuto nella sua realtà. Seppure tutti tre i disturbi di questo cluster siano caratterizzati dalla paura, la posta in palio è diversa .
I disturbi dell’alimentazione anoressia, bulimia, ecc.
L’alimentazione non è gestita da sistemi regolatori solidi, inattaccabili . Basta un rilevatore interno tarato su un valore soglia ( il livello di glicemia o di idratazione), a far insorgere problemi col cibo: se i valori scendono al di sotto della soglia si avverte la fame e si mettono in atto le condotte di ricerca e assunzione di cibo, se i valori superano la soglia ottimale sopravviene il senso di sazietà e cessano le condotte alimentari. Il meccanismo omeostatico è semplice come il termostato di una caldaia efficiente, ma negli esseri umani essendo la corteccia molto sviluppata questa supervisiona gli automatismi, cerca di regolarli in vista di altri scopi che non siano la semplice sopravvivenza. ( R. Lorenzini, 2011)
Quali sono questi possibili altri scopi dell’alimentazione?
Uno primo scopo riguarda il provare piacere dall’assunzione di cibo (così come gli esseri umani sono gli unici a fare sesso non solo per riprodursi, anche il mangiare non è solo finalizzato alla sola alimentazione).
Un secondo scopo riguarda l’assumere un aspetto fisico ritenuto bello, secondo i canoni culturali vigenti.
Un terzo scopo consisterebbe nel dimostrare a se stessi ed eventualmente agli altri di essere più forti persino delle spinte pulsionali più essenziali.
Infine un quarto scopo riguarda l’assecondare o contrastare le aspettative degli altri su di sé. (ibidem. R. Lorenzini, 2011)
Cosa succede quando intervengono questi altri scopi non finalizzati all’ alimentazione?
Succede che non si mangia più perché si ha fame, ma per altri motivi come per gratificarsi, calmarsi, oppure non si smette di mangiare perché si è sazi, ma perché si vuole essere magrissimi o dimostrare di dominare la fame o fare dispetto a qualcun altro.
I disturbi alimentari assumono varie forme , ma i più diffusi sono l’anoressia e la bulimia.
L’anoressica mantiene caparbiamente un peso corporeo inferiore a quello minimo previsto per altezza ed età e ha una costante intensa paura di prendere peso, anche quando è drammaticamente sottopeso. Nonostante il dimagrimento l’anoressica si reputa eccessivamente grassa. La sua percezione corporea ha spetti francamente deliranti e non c’è coscienza di malattia, anche immediatamente prima la frequente morte per inedia. Il pensiero è rivolto costantemente al cibo e alle calorie. L’autostima e il tono dell’umore sono strettamente e inversamente correlate al peso corporeo. La persona persegue il suo obiettivo sia riducendo l’assunzione del cibo sia con il vomito, l’uso di lassativi e un’attività fisica esagerata. L’anoressica ha un vissuto soggettivo di violenta fame, un pensiero fisso rivolto al cibo che tenta di controllare. Alle abbuffate, quando si presentano, seguono condotte di eliminazione.
La bulimica condivide con l’anoressica i temi di fondo circa l’importanza dell’aspetto corporeo e la necessità di controllarlo attraverso il cibo. Si potrebbe definire la bulimica come “un’anoressica nel momento della sconfitta”; si abbuffa mangiando rapidamente enormi quantità di cibo, a prescindere dalla sua qualità e gradevolezza, solo per riempirsi. ( ibidem R. Lorenzini, 2011) Durante l’abbuffata la bulimica ha la sensazione di perdere il controllo e di essere in uno stato di coscienza alterato. Segue l’abbuffata l’umore depresso, il senso di colpa e le condotte di eliminazione (vomito, lassativi, diuretici, digiuno assoluto ed esercizio fisico eccessivo). Tutto ruota attorno all’aspetto corporeo e all’assunzione di calorie, il valore personale, l’autostima e il tono dell’umore sono strettamente connessi all’andamento di questa battaglia. (ibidem R. Lorenzini, 2011)